15 dicembre: Cometa

Da 10 anni per me la parola cometa non è più solo un richiamo alla stella che illuminava il cielo di Betlemme. Da 10 anni quella parola ha a che fare con TE

Adoro questa foto e tutti i ricordi che porta con sè. In quel sorriso c’è tutto!

Sai credo tu non sia mai andato via. Ho sempre avuto la percezione ti sia in qualche modo moltiplicato perché ti sento vivere in tutti quelli che hanno avuto la fortuna di incontrare quel sorriso.

Ti porterò sempre con me ovunque la strada mi porterà e so che, anche se in modo diverso, tu continui a camminare al mio fianco .

..ancora sulla tua scia…
Buon volo Orso Giocherellone….

14 dicembre: Natale terrone & nostalgia di TE.

Oggi sono inciampata in questo video…

Da subito mi ha rubato un sorriso, poi però si è fatta avanti un po’ di nostalgia.
Il mese di dicembre dopo tutto è un po’ così: un’altalena continua tra magia e nostalgia.
Si rincorrono nella mente tantissime immagini e ricordi…

Non so spiegare la gioia che sentivo quando andavo a prendere le sedie in cantina, quando mi mettevo lì con le zie a montare i tavoli.Amavo preparare quelle tavolate che si riempivano di cibo ma soprattutto di noi e delle nostre “urla”.

Ripenso a quelle tavolate ma soprattutto a quel posto:il SUO posto, sempre lo stesso anno dopo anno, sempre vuoto a metà cena /pranzo. A lui bastava mangiare il primo poi era a posto e andava di là in cucina lontano dal nostro fracasso, lontano da quei rumori che però amava tanto perchè voleva dire che eravamo lì tutti insieme.

Tra i ricordi più belli legati al Natale ce n’è uno speciale che brilla più degli altri. Al centro sempre LUI che stranamente lascia la cucina per venire da noi per fare un giro di tombola insieme, sempre al suo posto con il panariello e il tombolone. Che bello che era mentre decantava i numeri e le interpretazioni! Tra un numero e l’altro ci guardava, fiero, con gli occhi che brillano come i miei adesso mentre penso a LUI.

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13 dicembre: la favola di Santa Lucia

Da quando vivo a Brescia mi ritrovo immersa in tradizioni che non mi appartengono. Il 13 dicembre per esempio per me è sempre stato un giorno come tanti, qui invece ha un tocco di magia. Al risveglio nel giorno di Santa Lucia infatti i bambini hanno una dolce sorpresa.

Vi lascio la favola della Santa così cara ai bambini che chissà un giorno dovrò raccontare anch’io.

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La favola di Santa Lucia

Quando S. Lucia salì in cielo, tutti si meravigliarono nel veder arrivare una persona così giovane. Ben presto la Santa con i suoi modi dolci ed i suoi occhi pieni di luce conquistò tutti e, persino lo scontroso S. Pietro si prese cura di lei come fanno i nonni con i nipoti.Così trascorrevano i giorni allietati di serenità e pace e Lucia si godeva questa sublime situazione, riflettendo su quanto fossero lontane da lei le sofferenze e la cattiveria che regnavano sulla Terra. S. Pietro, che nonostante la sua lunga barba bianca, aveva ancora una vista acutissima, si accorse che un sottile velo di tristezza si era posato sugli occhi celestiali di Lucia e, così, decise di chiamarla a sé per parlarle. S. Lucia gli disse che avrebbe tanto desiderato anche per un solo minuto poter rivedere il suo paese in Sicilia e i suoi poveri.
S. Pietro, fu talmente colpito da quella richiesta che passò giorni e notti fra le morbide nuvole del Paradiso a pensare come potesse esaudire il suo desiderio, finché prese coraggio e decise di parlarne col Padre Eterno. S’incamminò un po’ timoroso e quando fu da Lui espose la richiesta tenendo sempre china la testa in segno di profondo rispetto. S. Pietro restò immobile ad aspettare una risposta poi, inaspettatamente, udì uno strano e metallico tintinnio; socchiuse gli occhi e vide che il buon Dio teneva in mano una piccola chiave d’oro. “Tieni Pietro, questa é la chiave che apre una finestrella che dà sul mondo, prendila e portala a S. Lucia” disse il Signore. S. Pietro fu così meravigliato che afferrò la chiave e corse come un ragazzino a cercare la sua Santa bambina, felice di aver esaudito il suo desiderio. Immediatamente gli occhi della santa s’illuminarono e i due salirono su di una nuvoletta che li portò alla magica finestrella. Quando arrivarono, Lucia con la mano tremante, infilò la chiave nella fessura e, come d’incanto, le apparve laggiù il mondo.La giovane fu soddisfatta di quella visione e, per lungo tempo,non desiderò più aprire gli occhi sulle cose terrene. Una notte però, il suo sonno venne turbato da lontani lamenti e pianti. Lucia, preoccupata decise di prendere la chiave per vedere cosa stesse accadendo. Fu in quel momento che la santa vide tutte le cose ingiuste, la vita dissoluta, il male, ma soprattutto vide bambini che soffrivano e piangevano. Rammaricata richiuse piano la finestrella e, una profonda tristezza, calò sui suoi dolcissimi occhi celesti.
Lucia sperava di vedere presto migliorare le cose sulla Terra; la sofferenza dei bambini l’angosciava tantissimo, non sopportando che proprio loro, così immacolati ed indifesi, potessero subire angherie fisiche o morali da parte degli adulti. S.Pietro nel frattempo la osservava in silenzio e, notava man mano che passavano le giornate, il mutamento d’umore di Lucia.Nemmeno al Padre Eterno passò inosservata la cosa e decise di chiamare S. Pietro. “Caro Pietro,” disse il Signore “Io so quello che turba S. Lucia. Ella soffre per i patimenti dei bambini e le privazioni alle quali sono sottoposti.”disse ed aggiunse: ” Ho deciso, daremo l’incarico proprio a Lei di portare una volta all’anno un po’ di allegria sulla Terra e, tu Pietro, le dirai che il Signore l’autorizza a scendere il giorno del suo martirio cioè il 13 dicembre per portare doni a tutti i bambini della Terra. Ora vai, corri, voglio che torni la luce in quei santi occhi.” S. Pietro fu talmente felice, che, abbracciò il Signore e poi si affrettò a cercare Lucia per darle la bellissima notizia. Subito la santa rimase incredula, ma poi si convinse riempiendosi il cuore di letizia. Ormai mancavano pochi giorni al 13 dicembre, ma Lucia capì ben presto che non disponeva di nulla ed, in Paradiso, non esistevano né pasticcerie, né negozi di giocattoli. Questa volta S. Pietro fu veramente geniale; chiamò S. Lucia e la invitò a prendere la chiave d’oro dicendole di seguirlo.”Apri la finestrella e guarda bene”disse Pietro. “Vedi là nello spazio?

Eccolo, lì c’é un cavallino, una bambola, un trenino, là c’é una trombetta, una trottola, li vedi? Sai cosa sono tutti quei giochi? Sono i giochi superflui, inutili,abbandonati e dimenticati dai bambini viziati e mai contenti. I giochi sono come le persone, cercano compagnia e, se nessuno li vuole più, preferiscono andare nello spazio, sperando d’incontrare qualche bimbo disposto a giocare con loro.. su’ dai forza, prendine quanti ne vuoi e portali a chi ne ha veramente bisogno” concluse Pietro. “Oh, nonno Pietro, grazie, grazie di cuore” disse S. Lucia e cominciò ad afferrare tutti quei giocattoli abbandonati. La santa lavorò fino alla sera del 12 dicembre e mise tutti i giocattoli in grandi sacchi che appoggiò sulle spalle. Ma cara Lucia, così non arriverai mai con tutto quel carico,pesa troppo” disse Pietro e col suo vocione esclamò: ” C’é qualcuno qui che sarebbe disposto ad aiutare S. Lucia?” “Iho…Iho…”Tu, mio dolce asinello? Se a Lucia va bene, andrà bene anche a me” disse Pietro guardando la santa. “Bravo asinello, tu sarai il mio fedele accompagnatore, vedrai, quando ci vedranno i bambini che gioia sarà per loro”disse Lucia accarezzando la generosa bestiola. Ecco come nacque il viaggio di S. Lucia e del suo asinello; da allora non hanno mai mancato all’appuntamento ogni 13 dicembre con i bambini buoni e bravi.

12 dicembre: il pacchetto misterioso

Negli ultimi giorni sono spesso alle prese con i regali da impacchettare. Mentre sono lì che traffico con carta, nastri e decorazioni penso spesso a questa storia. Ve la regalo…

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IL PACCHETTO MISTERIOSO 

Alla piccola Elena piaceva tantissimo andare a far commissioni con la nonna. Specialmente nei giorni prima di Natale.
Soprattutto perché la nonna era molto sensibile alle sue richieste. Così ogni volta che usciva con la nonna, Elena tornava a casa con un bel regalo: un nuovo libro, un album da colorare, l’ovetto kinder con la sorpresa.

Ad Elena sarebbe piaciuto tanto giocare con gli altri bambini, mentre la nonna faceva la spesa dal panettiere, ma tutti i bambini che incontrava avevano la faccia annoiata e nessuna voglia di giocare. Perfino la nonna finiva in fretta di fare la spesa, perché nei negozi non c’era nessuno di buon umore che si fermasse a scambiare due chiacchiere, proprio nessuno che avesse tempo per qualche parola gentile. Sulla strada del ritorno, nonna e nipote tacevano, tenendosi per mano, mentre cominciava a scendere la neve.
«Uno solo basta».

A casa, la nonna si sedette nella sua poltrona preferita.
La chiamava il suo pensatoio.
Rimase a riflettere un po’, poi si alzò decisa e andò nello sgabuzzino.
Tornò dopo un po’ tenendo in mano un magnifico pacchetto-regalo avvolto in carta dorata e legato con un nastro rosso.
Elena avrebbe voluto aprirlo per sapere che cosa c’era dentro, ma la nonna le fece capire che il pacchetto era in realtà un segreto.

Il mattino dopo, nonna e nipote uscirono presto di casa portando il pacchetto luccicante per la carta dorata e il nastro rosso.
Il primo che incontrarono fu Pasquale, la burbera guardia con i baffoni a manubrio.
Era un tipo che non dava confidenza a nessuno e viveva da solo.
La nonna gli si avvicinò e gli porse il pacchetto.
«Che debbo farne?», domandò Pasquale colto di sorpresa.
«E’ per lei», disse Elena.
La guardia era piena di stupore. «Che cosa contiene?», chiese. «Amicizia e felicità», disse la nonna e gli strinse la mano.
«Hai visto com’era contento, nonna?», disse Elena.
«Torniamo a casa a preparare altri pacchetti da regalare?».
La nonna scosse la testa: «No, Elena», spiegò, «uno solo basta».«Finalmente ho anch’io degli amici in paese», pensò Pasquale, e riprese il cammino con il cuore più caldo.

Per la strada incontrò Sebastiano, lo spazzino.
Sebastiano era timido e i bambini lo prendevano in giro.
Quando vide arrivare la guardia, lo spazzino si nascose dietro al carrettino.
Ma Pasquale gli porse il pacchetto dicendo: «E per te!».
«Grazie», mormorò Sebastiano incredulo e felice.
Così la guardia e lo spazzino divennero amici.

Ma Sebastiano non aprì il pacchetto.
«Farò un regalo a Dolores», pensò.
Dolores era una bambina magra magra con le treccine bionde, l’unica che gli diceva sempre «Buongiorno».
Dolores era a letto con l’influenza e, un po’ imbarazzato, Sebastiano affidò il regalo alla mamma di Dolores, che gli offrì il caffè.

Quando Dolores ebbe il bellissimo pacchetto, si sentì subito meglio. Accarezzò la bella carta dorata e il nastro rosso e pensò: «Deve essere un regalo bellissimo.
Lo manderò a Susi, per fare la pace».
Susi era la migliore amica di Dolores, ma a scuola due giorni prima avevano litigato.

Quando Susi ebbe il pacchetto, corse da Dolores e l’abbracciò, poi insieme decisero che un regalo così bello poteva far felice la maestra, che da un po’ di tempo sembrava così triste.
La maestra si illuminò quando trovò sulla cattedra il pacchetto scintillante e quel giorno non le pesò far scuola e le ore passarono una più radiosa dell’altra.

Tornando a casa, la maestra portò il regalo alla signora Ambrosetti, che aveva i figli lontani e piangeva spesso.
Neanche la signora Ambrosetti si tenne il regalo, ma lo portò a Lucianone, che era sensibile e garbato, ma, siccome faceva il macellaio, tutti lo credevano senza cuore.
Neanche Lucianone si tenne il pacchetto… Che continuò così a passare di mano in mano e tutti quelli che se lo scambiavano si sorridevano e si parlavano.

Qualche giorno dopo, quando Elena e la nonna tornarono a fare le commissioni, si sentivano chiacchiere allegre venire dai negozi, mentre i bambini avevano voglia di giocare.
Un uomo salutò la nonna e le raccontò che cosa era successo qua e là e di come la gente da qualche tempo era più felice grazie ad un misterioso pacchetto. Mentre la nonna trafficava nella borsa alla ricerca delle chiavi della porta del suo appartamento, le venne incontro la signora Amalia, che abitava al piano di sotto, e che non le aveva mai rivolto la parola.
«Vorrei augurarle Buon Natale», disse, e le offrì… il bellissimo pacchetto con la carta dorata e il nastro rosso.
«Grazie», rispose la nonna sorridendo.
«Perché non viene dentro a far due chiacchiere di tanto in tanto?». «Evviva», gridò Elena, quando furono soli in casa.
«Il pacchetto è tornato da noi! Ma ora mi dici cosa c’è dentro?». «Niente di particolare», rispose la nonna. «Solo un po’ d’amore».

Tratto da: “Novena di Natale per bambini”.

Fonte: http://www.stjroma.it/amici-di-gesu/amici/2010-2011/classe-seconda_07.htm

11 dicembre: a Natale puoi


A Natale puoi 

fare quello che non puoi fare mai: 
riprendere a giocare, 
riprendere a sognare, 
riprendere quel tempo che rincorrevi tanto. 

È Natale e a Natale si può fare di più,
è Natale e a Natale si può amare di più, 
è Natale e a Natale si può fare di più 
per noi: 
a Natale puoi. 

A Natale puoi 
dire ciò che non riesci a dire mai: 
che bello è stare insieme, 
che sembra di volare, 
che voglia di gridare 
quanto ti voglio bene. 

È Natale e a Natale si può fare di più,
è Natale e a Natale si può amare di più, 
è Natale e a Natale si può fare di più 
per noi: 
a Natale puoi. 
È Natale e a Natale si può amare di più, 
è Natale e a Natale si può fare di più 
per noi: 
a Natale puoi. 

Luce blu, 
c’è qualcosa dentro l’anima che brilla di più: 
è la voglia che hai d’amore, 
che non c’è solo a Natale, 
che ogni giorno crescerà, 
se lo vuoi. 

A Natale puoi. 

È Natale e a Natale si può fare di più,
è Natale e a Natale si può amare di più, 
è Natale e a Natale si può fare di più, 
è Natale e da Natale puoi fidarti di più. 

A Natale puoi 
puoi fidarti di più. 

A Natale puoi.

10 dicembre: Natale punto di partenza

“Vi auguro di capire che Natale non è un punto di arrivo ma di partenza.
Natale non è un “punto a capo”: Natale è “due punti” : si apre, si deve aprire
poi tutto un discorso.
Dobbiamo tutti prendere coscienza con lucidità e determinazione che a Natale non si arriva, dal Natale si parte. Per troppi cristiani tutto finisce a
Natale, mentre tutto dovrebbe cominciare da lì: conta il giorno dopo Natale.
Gesù è venuto non perché tutto restasse come prima, ma perché cambiasse la
vita di tutti. Natale è rinascere noi e far nascere un mondo nuovo.
Natale è qualcosa di nuovo che nasce dentro di noi, nel nostro cuore, nel
santuario della nostra libertà. E’ il nostro cuore che fiorisce, che guarisce e
che fa di noi le vere luci di Natale, le vere stelle di Natale”.

Mons. Tonino Bello

Fonte

9 dicembre: preghiera davanti al Presepio

Ecco il Presepio!
Discretamente mi sono infilato in mezzo ai pastori, ognuno con il suo regalo.
Con la sua nascita, Gesù mi ha dato tutto, tutto se stesso.
Io, cosa gli offrirò in contraccambio?
Non ho niente, se non questa candelina che ho plasmato durante tutti i giorni dell’anno ormai quasi finito.
Certo è storta, rattrappita e un po’ malandata: ma sono proprio io!
Non importa che sia bella, attraente o semplicemente bianca.
So di voler dare tutto.
Gesù  mi accoglie e mi sorride.

Questa candela della mia vita, avrei potuto tenerla in disparte, lontano dal Presepio,
egoisticamente ordinata e conservata intatta nella sua scatola di cartone.
Ma chiusa nella scatola, la mia vita non avrebbe avuto nessun senso.
Avrei perso la mia vocazione.

Invece ho scelto di essere acceso.
Questa è la mia gioia ed io trovo il senso della mia vita solamente quando brucio.
Quando brucio però, mi consumo.
Poco a poco mi rimpicciolisco al punto di sparire del tutto, peggio per il mio egoismo!
“Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà;
e chi la perderà per causa mia e del Vangelo, la salverà”. (Marco 8,35)
E’ la condizione per trovare la propria vocazione.
Finalmente diffondo luce e calore per la gioia di tutti.

Adesso so perché esisto. Voglio passare la mia vita ad illuminare.
Sono gli auguri per l’anno nuovo,
offerti a tutte le candele che bruciano con me, attorno al Presepio.

Gesù  ci accoglie e ci sorride.

Padre Etienne

http://www.padrestefano.it/index.php?option=com_content&view=article&id=64&Itemid=180

8 dicembre: Maria, donna dell’attesa

Maria, donna dell’attesa

La vera tristezza non è quando, a sera, non sei atteso da nessuno al tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita.

E la solitudine più nera la soffri non quando trovi il focolare spento, ma quando non lo vuoi accendere più: neppure per un eventuale ospite di passaggio.

Quando pensi, insomma, che per te la musica è finita. E ormai i giochi siano fatti. E nessun’anima viva verrà a bussare alla tua porta. E non ci saranno più né soprassalti di gioia per una buona notizia, né trasalimenti di stupore per una improvvisata. E neppure fremiti di dolore per una tragedia umana: tanto non ti resta più nessuno per il quale tu debba temere.

La vita allora scorre piatta verso un epilogo che non arriva mai, come un nastro magnetico che ha finito troppo presto una canzone, e si srotola interminabile, senza dire più nulla, verso il suo ultimo stacco.

Attendere: ovvero sperimentare il gusto di vivere. Hanno detto addirittura che la santità di una persona si commisura dallo spessore delle sue attese. Forse è vero.

Se è così, bisogna concludere che Maria è la più santa delle creature proprio perché tutta la sua vita appare cadenzata dai ritmi gaudiosi di chi aspetta qualcuno.

Già il contrassegno iniziale con cui il pennello di Luca la identifica è carico di attese: «Promessa sposa di un uomo della casa di Davide».

Fidanzata, cioè.

A nessuno sfugge a quale messe di speranze e di batticuori faccia allusione quella parola che ogni donna sperimenta come preludio di misteriose tenerezze. Prima ancora che nel Vangelo venga pronunciato il suo nome, di Maria si dice che era fidanzata. Vergine in attesa. In attesa di Giuseppe. In ascolto del frusciare dei suoi sandali, sul far della sera, quando, profumato di legni e di vernici, egli sarebbe venuto a parlarle dei suoi sogni.

Ma anche nell’ultimo fotogramma con cui Maria si congeda dalle Scritture essa viene colta dall’ obiettivo nell’ atteggiamento dell’attesa.

Lì, nel cenacolo, al piano superiore, in compagnia dei discepoli, in attesa dello Spirito. In ascolto del frusciare della sua ala, sul fare del giorno, quando, profumato di unzioni e di santità, egli sarebbe disceso sulla Chiesa per additarle la sua missione di salvezza.

Vergine in attesa, all’inizio.

Madre in attesa, alla fine.

E nell’arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l’altra così divina, cento altre attese struggenti.

L’attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L’attesa di adempimenti legali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L’attesa del giorno, l’unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L’attesa dell’ora: l’unica per la quale non avrebbe saputo frenare l’impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L’attesa dell’ultimo rantolo dell’unigenito inchiodato sul legno. L’attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia.

Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all’infinito.

Santa Maria, Vergine dell’attesa, donaci del tuo olio perché le nostre lampade si spengono. Vedi: le riserve si sono consumate. Non ci mandare ad altri venditori. Riaccendi nelle nostre anime gli antichi fervori che ci bruciavano dentro quando bastava un nonnulla per farci trasalire di gioia: l’arrivo di un amico lontano, il rosso di sera dopo un temporale, il crepitare del ceppo che d’inverno sorvegliava i rientri in casa, le campane a stormo nei giorni di festa, il sopraggiungere delle rondini in primavera, l’acre odore che si sprigionava dalla stretta dei frantoi, le cantilene autunnali che giungevano dai palmenti, l’incurvarsi tenero e misterioso del grembo materno, il profumo di spigo che irrompeva quando si preparava una culla.

Se oggi non sappiamo attendere più, è perché siamo a corto di speranza. Se ne sono disseccate le sorgenti. Soffriamo una profonda crisi di desiderio. E, ormai paghi dei mille surrogati che ci assediano, rischiamo di non aspettarci più nulla neppure da quelle promesse ultraterrene che sono state firmate col sangue dal Dio dell’alleanza.

Santa Maria, donna dell’ attesa, conforta il dolore delle madri per i loro figli che, usciti un giorno di casa, non ci son tornati mai più, perché uccisi da un incidente stradale o perché sedotti dai richiami della giungla. Perché dispersi dalla furia della guerra o perché risucchiati dal turbine delle passioni. Perché travolti dalla tempesta del mare o perché travolti dalle tempeste della vita.

Riempi i silenzi di Antonella che non sa che farsene dei suoi giovani anni, dopo che lui se n’è andato con un’ altra. Colma di pace il vuoto interiore di Massimo che nella vita le ha sbagliate tutte, e l’unica attesa che ora lo lusinga è quella della morte. Asciuga le lacrime di Patrizia che ha coltivato tanti sogni a occhi aperti, e per la cattiveria della gente se li è visti così svanire a uno a uno, che ormai teme anche di sognare a occhi chiusi.

Santa Maria, Vergine dell’attesa, donaci un’anima vigiliare. Giunti alle soglie del terzo millennio, ci sentiamo purtroppo più figli del crepuscolo che profeti dell’avvento. Sentinella del mattino, ridestaci nel cuore la passione di giovani annunci da portare al mondo, che si sente già vecchio. Portaci, finalmente, arpa e cetra, perché con te mattiniera possiamo svegliare l’aurora.

Di fronte ai cambi che scuotono la storia, donaci di sentire sulla pelle i brividi dei cominciamenti. Facci capire che non basta accogliere: bisogna attendere. Accogliere talvolta è segno di rassegnazione. Attendere è sempre segno di speranza. Rendici, perciò, ministri dell’ attesa. E il Signore che viene, Vergine dell’ avvento, ci sorprenda, anche per la tua materna complicità, con la lampada in mano.

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/tonino_bello_maria4.htm

7 dicembre: Natale sei tu!

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“Il Natale di solito è una festa rumorosa: ci farebbe bene un po’ di silenzio per ascoltare la voce dell Amore. Natale sei tu, quando decidi di nascere di nuovo ogni giorno e lasciare entrare Dio nella tua anima. L’albero di Natale sei tu quando resisti vigoroso ai venti e alle difficoltà della vita. Gli addobbi di Natale sei tu quando le tue virtù sono i colori che adornano la tua vita. La campana di Natale sei tu quando chiami, congreghi e cerchi di unire.

Sei anche luce di Natale quando illumini con la tua vita il cammino degli altri con la bontà la pazienza l allegria e la generosità. Gli angeli di Natale sei tu quando canti al mondo un messaggio di pace di giustizia e di amore. La stella di Natale sei tu quando conduci qualcuno all’incontro con il Signore. Sei anche i re magi quando dai il meglio che hai senza tenere conto a chi lo dai. La musica di Natale sei tu quando conquisti l armonia dentro di te. Il regalo di Natale sei tu quando sei un vero amico e fratello di tutti gli esseri umani. Gli auguri di Natale sei tu quando perdoni e ristabilisci la pace anche quando soffri. Il cenone di Natale sei tu quando sazi di pane e di speranza il povero che ti sta di fianco.
Tu sei la notte di Natale quando umile e cosciente ricevi nel silenzio della notte il Salvatore del mondo senza rumori ne grandi celebrazioni; tu sei sorriso di confidenza e tenerezza nella pace interiore di un Natale perenne che stabilisce il regno dentro di te. Un buon Natale a tutti coloro che assomigliano al Natale.”

-Papa Francesco-

fonte

6 dicembre: San Nicola, la vera storia di Babbo Natale

San Nicola, la vera storia di Babbo Natale

“Il Santo vescovo di Myra, nei secoli, è stato legato alla figura del vecchio portadoni. È diventato il Santa Claus dei paesi anglosassoni, e il NiKolaus della Germania che a Natale porta regali ai bambini.
Ogni popolo lo ha fatto proprio, vedendolo sotto una luce diversa, pur conservandogli le caratteristiche fondamentali, prima fra tutte quella di difensore dei deboli e di coloro che subiscono ingiustizie.

Nei primi decenni del 1800 San Nicolaus (da cui Santa Claus) grazie a una poesia di Clement Clarke Moore diventò il Babbo Natale che tutti conosciamo.”

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Una visita da San Nicola “Twas the Night Before Christmas”

Era la notte prima di Natale, quando in  tutta la casa
non una creatura si muoveva, neanche un topo.
Le calze erano appese al camino con cura,
nella speranza che San Nicola sarebbe arrivato presto.

I bambini erano tutti nei loro letti,
mentre visioni di prugne ricoperte di zucchero ballavano  nella  loro mente.
E la mamma nel suo ‘pigiama, e io nel mio berretto, ci
eravamo appena preparati  per un pisolino dopo quella lunga giornata d’inverno.

Quando ad un tratto si udì sul tetto un enorme baccano,
Balzai dal mio letto per vedere cosa stesse succedendo.
Sono volato  alla finestra e ho aperto i battenti.

La luna sulla  neve appena caduta faceva luccicare tutti gli oggetti che illuminava,
quando improvvisamente davanti ai  miei occhi meravigliati si presentò
una slitta in miniatura e otto piccole renne.

Scorsi un vecchio, così vivace e veloce,
Sapevo che si trattava di San Nicola
Le sue renne erano più rapide delle aquile
e lui fischiava, urlava e le chiamò per nome:

“Ora Dasher! Ora Dancer!
Ora, Prancer e Vixen!
Su, Comet! Su, Cupido!
Su, Donner e Blitzen!
Per la parte superiore del portico!
Per la parte superiore del muro!
Ora via!  via!
Via tutti! “

Come foglie secche che volano via prima dell’uragano,
montarono al cielo così oltre il tetto e mi accorsi che volavano,
con la slitta piena di giocattoli e con San Nicola.

E poi, in un batter d’occhio, ho sentito sul tetto
lo scalpitio di zoccoli. Sentii un tonfo e non appena mi voltai ,
vidi che San Nicola era sceso giù dal camino con un balzo.

Era tutto vestito di pelliccia, dalla testa ai piedi,
e i suoi vestiti erano tutti macchiati di cenere e fuliggine.
con  un  sacco di giocattoli che portava in spalla,
sembrava un venditore ambulante.

I suoi occhi – come brillavano! Le sue fossette, come era allegro!
Le sue guance erano come le rose, il suo naso come una ciliegia!
La sua bocca buffa e piccola ad arco,
e la barba sul mento bianca come la neve.

Una pipa teneva  stretta tra i denti,
e il fumo che circondava la sua testa sembrava  una corona.
Aveva un viso largo e un po ‘di pancia,
che scuoteva quando rideva, come una ciotola piena di gelatina.

Era grassottello e paffuto, sembrava un allegro vecchio folletto,
e ho riso quando l’ho visto, mio malgrado.
Con un occhiolino presto mi ha dato conferma che non avevo nulla da temere.

Lui non diceva una parola, ma è tornato subito al suo lavoro,
e riempite tutte le calze si girò di scatto.
Posò  il dito sul  suo naso,
diede un cenno del capo, e salì su per il camino.

Saltò in slitta, fischiando alle renne,e volò via a gran velocità.
Ma prima di sparire nell’ oscurità della notte lo sentii esclamare:

Buon Natale a tutti, e a tutti una buona notte!