24 dicembre: buona vigilia di Natale

Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli! Accarezza il malato e l’anziano! Spingi gli uomini a deporre le armi e a stringersi in un universale abbraccio di pace! Invita i popoli, misericordioso Gesù, ad abbattere i muri creati dalla miseria e dalla disoccupazione, dall’ignoranza e dall’indifferenza, dalla discriminazione e dall’intolleranza. Sei Tu, Divino Bambino di Betlemme, che ci salvi liberandoci dal peccato. Sei Tu il vero e unico Salvatore, che l’umanità spesso cerca a tentoni.

Dio della Pace, dono di pace all’intera umanità, vieni a vivere nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia.

Sii Tu la nostra pace e la nostra gioia! Amen. (Giovanni Paolo II)

18 dicembre: Amami come sei

AMAMI COME SEI
(Gesù parla a un’anima)

“Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità del tuo corpo: – so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: “Dammi il tuo cuore, amami come sei…”. Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all’amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica del dovere e della virtù, se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non commettere più, non ti permetto di non amarmi. Amami come sei. In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell’aridità, nella fedeltà o nella infedeltà, amami… come sei.., Voglio l’amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai. Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore ? non sono io l’Onnipotente ?. E se ml piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore? Figlio mio, lascia che Ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti ma per ora ti amo come sei… e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l’amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l’amore dei poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: “Gesù ti amo”. Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Una cosa sola m’importa, di vederti lavorare con amore. Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che ali­menterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai … perché ti ho creato soltanto per l’amore. Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto; affrettati ad aprirmi. Non allegare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, morresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia. Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l’azione più insignificante solo per amore. Conto su di te per darmi gioia… Non ti preoccupare di non possedere virtù: ti darò le mie. Quando dovrai soffrire, ti darò la forza. Mi hai dato l’amore, ti darò di saper amare al di là di quanto puoi sognare… Ma ricordati… amami come sei… Ti ho dato mia Madre; fa passare, fa passare tutto dal suo Cuore così puro. Qualunque cosa accada, non aspettare di essere santo per abbandonarti all’amore, non mi ameresti mai… Va…”

17 dicembre: Preghiera davanti al Presepio

Preghiera davanti al Presepio

Ecco il Presepio!
Discretamente mi sono infilato in mezzo ai pastori, ognuno con il suo regalo.
Con la sua nascita, Gesù mi ha dato tutto, tutto se stesso.
Io, cosa gli offrirò in contraccambio?
Non ho niente, se non questa candelina che ho plasmato durante tutti i giorni dell’anno ormai quasi finito.
Certo è storta, rattrappita e un po’ malandata: ma sono proprio io!
Non importa che sia bella, attraente o semplicemente bianca.
So di voler dare tutto.
Gesù  mi accoglie e mi sorride.

Questa candela della mia vita, avrei potuto tenerla in disparte, lontano dal Presepio,
egoisticamente ordinata e conservata intatta nella sua scatola di cartone.
Ma chiusa nella scatola, la mia vita non avrebbe avuto nessun senso.
Avrei perso la mia vocazione.

Invece ho scelto di essere acceso.
Questa è la mia gioia ed io trovo il senso della mia vita solamente quando brucio.
Quando brucio però, mi consumo.
Poco a poco mi rimpicciolisco al punto di sparire del tutto, peggio per il mio egoismo!
“Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà;
e chi la perderà per causa mia e del Vangelo, la salverà”. (Marco 8,35)
E’ la condizione per trovare la propria vocazione.
Finalmente diffondo luce e calore per la gioia di tutti.

Adesso so perché esisto. Voglio passare la mia vita ad illuminare.
Sono gli auguri per l’anno nuovo,
offerti a tutte le candele che bruciano con me, attorno al Presepio.

Gesù  ci accoglie e ci sorride.           

Padre Etienne 

http://www.padrestefano.it

16 dicembre: è Natale -Madre Teresa

È Natale – Madre Teresa di Calcutta
È Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
È Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro.
È Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
È Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
È Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
È Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.

15 dicembre: Cometa, la storia di una stella speciale

Tanto tempo fa, proprio come accade oggi, non si poteva decidere come si sarebbe nati: grandi o piccini, alti o bassi, con gli occhi azzurri o neri, il carattere molto socievole o più riflessivo.
Si nasceva, si cresceva e ci si imparava a conoscere a poco a poco.
Era una cosa naturale che capitava a tutti e che, infatti, capitò anche a Cometa.
Cometa era nata in una quieta notte invernale in quel cielo che lei chiamava “casa”.
Cometa era nata piccola e si sentiva una stellina di serie b. Guardava le altre stelle, la Luna e provava invidia perché sapeva che nessuno avrebbe mai notato quell’esile punticino luminoso, lassù nel cielo infinito. Lei non avrebbe rallegrato il cuore degli innamorati, dei pastori, dei bambini, degli uomini e delle donne che rientravano a casa dopo una giornata di faticoso lavoro.

Il gran Sole osservava con compassione la piccola Cometa che ogni notte si sforzava di brillare più luminosa, di diventare un po’ più simile alle altre stelle.
Tante volte aveva già provato il desiderio di parlarle, di rassicurarla. Tante volte era stato sul punto di rivelarle il sogno che anche una stellina piccola e insicura come lei custodiva nel cuore. Ma il gran Sole non le si avvicinava mai, non poteva, non prima del tempo.
La piccola Cometa passava tutte le notti affacciata sul mondo, ascoltando i discorsi dei pastori e delle loro pecore, le voci delle madri che chiamavano i bambini per la cena, le fresche risate dei più piccoli e la felicità nei loro cuori. Nessuno badava a lei mentre le sue sorelle erano ammirate dai giovani innamorati e dai poeti, seguite dai marinai e dai viaggiatori.

Tutto questo finché, un giorno, il cielo infinito comunicò al gran Sole che era giunto il momento di parlare alla piccola stella. Il Sole chiamò quindi Cometa al suo cospetto.
La poverina pensò subito di aver commesso qualche errore, di cui non si ricordava, ma che sicuramente aveva commesso se un astro tanto importante si preoccupava di una piccola stella come lei.
Il Sole, invece, le sorrise bonario e le rivelò che era arrivato il momento di partire.
La esiliavano? Si preoccupò immediatamente la piccola Cometa spaventata, ma per cosa?
No, la rassicurò invece il Sole, non si trattava di un castigo, ma di un dono: era stata scelta per guidare il cammino di tre uomini saggi verso la dimora di un re.
Cometa non riuscì a nascondere la sua sorpresa e incredulità: immaginò che il gran Sole si stesse sbagliando, aveva sicuramente chiamato la stella sbagliata. Lei guidare tre uomini saggi verso la dimora di un re?

Ma il gran Sole non sembrò ricredersi delle parole appena pronunciate, le descrisse i tre uomini e le disse che si chiamavano Re Magi.
Ancora confusa Cometa si ritrovò in viaggio. Si continuava a domandare come avrebbero fatto quei tre uomini saggi a vederla. Poveretti, lei era troppo piccola, troppo poco importante per essere vista, figuriamoci perché qualcuno potesse seguirla!
Ma ecco che una notte la stella vide tre uomini elegantemente vestiti in groppa ai loro cammelli che si guardavano intorno confusi.
Cometa li sentì parlare tra di loro, percepì lo smarrimento nelle loro parole.
I tre uomini erano perplessi: parlavano di un sogno, di una stella che li avrebbe dovuti guidare.
Cometa capì che stavano parlando di lei.

“Ehi, sono qui!”, iniziò a gridare per attirare la loro attenzione. Ma nulla, gli uomini continuavano a parlare tra di loro e a guardare il cielo confusi, come se non vedessero niente.
“Sono troppo piccola, non mi vedranno mai!”, piagnucolò Cometa disperata: ecco che finalmente le era stato assegnato un compito importante e lei non riusciva a portarlo a termine. Il gran Sole aveva sbagliato a fidarsi di lei. Era solo una piccola stella inutile.
Stava piangendo e non si era mai sentita così piccola e impotente, incapace di essere all’altezza del compito, quando, all’improvviso, Cometa si sentì riscaldare da un potente fuoco d’oro. Si guardò stupefatta e vide che dietro di lei si era formata una leggera coda argentata. Non credeva ai suoi occhi: proseguiva il viaggio vestita d’oro e d’argento.
I tre uomini iniziarono ad additarla felici e ripresero il cammino.

Cometa era incapace di capire cosa potesse essere successo: ora gli uomini la potevano vedere, la stavano seguendo! Sentiva l’entusiasmo alimentare l’oro e l’argento, le lacrime riscaldare il suo cuore di gioia.
Dopo un lungo viaggio Cometa si accorse di essere arrivata in prossimità di una capanna alquanto malridotta. Si guardò intorno, ma non vide dimore di re, solo quella capanna. Alcuni pastori sostavano davanti all’uscio. Una capanna di pastori! Ma dove aveva condotto i re Magi? Aveva sbagliato rotta? Il gran Sole non glielo avrebbe mai perdonato. Quella di certo non poteva essere la dimora di un re!
Cometa, però, vide che i tre uomini scendevano dai loro cammelli e sentì che il loro cuore era colmo di gioia. I Re Magi si avvicinarono alla capanna, ognuno di loro portava in mano uno scrigno.

“Cosa stanno facendo?”, si chiedeva Cometa disorientata. Cercò di guardare all’interno della capanna e rimase esterrefatta: i tre uomini si erano inginocchiati davanti ad una mangiatoia che faceva da culla ad un bambino piccolo e indifeso.
Era forse quello il re? E quella capanna la sua dimora?
Il primo uomo porse al bambino uno scrigno che conteneva oro.
“Oro, il più nobile dei metalli, il simbolo della nobiltà che i suoi atti infonderanno nell’animo, nei sentimenti degli uomini e delle donne”, cantò Cometa, assorta nella contemplazione del bambino, parole che il suo cuore le aveva appena sussurrato.
Il primo uomo lasciò il posto al secondo, anche lui con uno scrigno tra le mani. Il suo dono era dell’incenso.
“Incenso, dal profumo che guarisce, fiamma bianca, fumo tenue, il simbolo dell’essenza delle sue parole, di ciò che insegnerà agli uomini e alle donne.” E poi fu la volta del terzo uomo che portava in dono della mirra.
“Mirra, nata da gocce di resina, profumo che dona benessere, il simbolo delle lacrime che verserà, del dolore che patirà, lacrime e dolore umani a cui lui concederà solidarietà e speranza.”
Cometa si riscosse dalla contemplazione e si accorse che ora tutto di lei si era fatto più tenue: il caldo oro, il delicato argento, il ricordo delle lacrime.

Quella notte lei aveva compiuto ciò che nessun altro avrebbe potuto compiere. Ora sembrava che avrebbe lasciato dei pastori, tre uomini saggi, due genitori ad adorare un bambino nato re in una capanna tra i pascoli di Betlemme.
Ma c’era un unico distinto sentimento che scivolava quieto nel suo cuore: amore.
Amore di quei pastori, dei re Magi, dei due genitori verso un bambino che non sapeva ancora nulla del suo destino, ma aveva già condizionato quello di una piccola stella.
Cometa provò a sua volta amore nei confronti di quel bambino che aveva scelto di nascere sotto il suo cielo, per quei tre uomini saggi che avevano creduto in lei e l’avevano seguita, per tutte quelle persone che mostravano al piccolo re la strada giusta che lo avrebbe condotto al suo destino: l’amore.

Cometa si godette ancora per qualche istante quel cielo, quei pascoli, la capanna e la presenza di quegli esseri umani, poi brillò un po’ più intensamente, un’ultima volta prima di pronunciare felice: “Ora tocca a te, piccolo re, sarà il tuo cuore a brillare di caldo oro e a guidarti. Saranno le tue parole a formare una scia di tenue argento e a guarire tutti coloro che le respireranno. Sarà la tua presenza, il tuo viaggio a guidare altri uomini, altre donne verso quello che tu oggi rappresenti: l’amore, la grandezza in ciò che può apparire piccolo e impotente.”
E Cometa tornò a casa non più piccola, non più insicura, consapevole di aver realizzato un sogno e di averne visto un altro nascere.

Fonte

 

12 dicembre: perché sono nato dice Dio

Sono nato nudo, dice Dio,
perché tu sappia spogliarti di te stesso.
Sono nato povero,
perché tu possa considerarmi l’unica ricchezza.
Sono nato in una stalla,
perché tu impari a santificare ogni ambiente.
Sono nato debole, dice Dio,
perché tu non abbia mai paura di me.
Sono nato per amore,
perché tu non dubiti mai del mio amore.
Sono nato di notte,
perché tu creda che io posso illuminare qualsiasi realtà.
Sono nato persona, dice Dio,
perché tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso.
Sono nato uomo,
perché tu possa essere “dio”.
Sono nato perseguitato,
perché tu sappia accettare le difficoltà.
Sono nato nella semplicità,
perché tu smetta di essere complicato.
Sono nato nella tua vita, dice Dio,

per portare tutti alla casa del Padre.

Fonte

11 dicembre: I figli sono un dono

Ieri è caduta la prima neve, e di solito quando succede esprimo un desiderio, quest’anno invece non sono riuscita a farlo. Troverei lo stesso imbarazzo se dovessi scrivere una lettera a Babbo Natale perchè davvero in questo periodo non riesco a desiderare altro se non quello che porto già in grembo. Non c’è regalo che si possa desiderare di più! Non c’è dono più prezioso!

Dall’udienza generale del 11/02/2015

I figli non sono un problema di biologia riproduttiva, ma un dono“La gioia dei figli – ha proseguito – fa palpitare i cuori dei genitori e riapre il futuro. I figli sono la gioia della famiglia e della società. Non sono un problema di biologia riproduttiva, né uno dei tanti modi di realizzarsi. E tanto meno sono un possesso dei genitori … No, no. I figli sono un dono, sono un regalo: capito?I figli sono un dono. Ciascuno è unico e irripetibile; e al tempo stesso inconfondibilmente legato alle sue radici.

I figli sono amati prima di venire al mondo“Un figlio lo si ama perché è figlio: non perché  sia bello, e perché sia così o cosà; no, perché è figlio! Non perché la pensa come me, o incarna i miei desideri. Un figlio è un figlio: una vita generata da noi ma destinata a lui, al suo bene, al bene della famiglia, della società, dell’umanità intera. Di qui viene anche la profondità dell’esperienza umana dell’essere figlio e figlia, che ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell’amore, che non finisce mai di stupirci. E’ la bellezza di essere amati prima: i figli sono amati prima che arrivino. Quante volte trovo le mamme qui che mi fanno vedere la pancia e mi chiedono la benedizione … perché sono amati questi bimbi prima di venire al mondo. E questa è gratuità, questo è amore; sono amati prima, come l’amore di Dio che ci ama sempre prima. Sono amati prima di aver fatto qualsiasi cosa per meritarlo, prima di saper parlare o pensare, addirittura prima di venire al mondo! Essere figli è la condizione fondamentale per conoscere l’amore di Dio, che è la fonte ultima di questo autentico miracolo. Nell’anima di ogni figlio, per quanto vulnerabile, Dio pone il sigillo di questo amore, che è alla base della sua dignità personale, una dignità che niente e nessuno potrà distruggere”

Fonte

 

 

 

9 dicembre: i regali nello sgabuzzino

Il postino suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati. “Avanti”, disse una voce dall’interno. Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza piena d’ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c’era un vecchio. “Guardi che stupendo pacco di Natale!” disse allegramente il postino. “Grazie. Lo metta pure per terra”, disse il vecchio con la voce più triste che mai. “Non c’è amore dentro” Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Sentiva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l’aria di spassarsela male. Allora, perché era così triste? “Ma, signore, non dovrebbe fare un po’ di festa a questo magnifico regalo?”. “Non posso… Non posso proprio”, disse il vecchio con le lacrime agli occhi. E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale, con un bigliettino: “Da tua figlia Luisa e marito”. Mai un augurio personale, una visita, un invito: “Vieni a passare il Natale con noi”. “Venga a vedere”, aggiunse il vecchio e si alzò stancamente. Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. il vecchio aprì la porta. “Ma … ” fece il postino. Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli dei Natali precedenti. Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti. “Ma non li ha neanche aperti!” esclamò il postino allibito. “No”, disse mestamente il vecchio. “Non c’è amore dentro”.

Per vivere diversamente

Natale è diventata la festa del regalo. Non è una brutta cosa, dopotutto! Natale è la festa del grande dono fatto da Dio all’umanità: lui stesso viene a vivere tra noi per insegnarci la strada della Vita Eterna. Scambiarsi regali è un po’ partecipare alla grande generosità di Dio. Il regalo però, dice il racconto, può trasformarsi in una usanza senza amore dentro, cioè in una triste ipocrisia.

Discutete: Perché la gente si scambia regali a Natale?

Quali sono le motivazioni ‘reali’ che spingono la maggior parte della gente a fare regali vistosi?

Che cosa significa un regalo “con amore dentro”?

Preparate dei regali speciali, che abbiano un vero significato, per i vostri amici, per il vostro parroco, per il sindaco della vostra città.

Organizzate una visita all’Ospedale o al Ricovero delle persone anziane della vostra zona.

Fate loro il dono più bello: un po’ del vostro tempo.

Preghiamo

O Signore,

che ti sei fatto dono per l’uomo;

che non hai lasciato solo il ricordo di te

come tanti che sono passati.

Ci insegni

che i nostri gesti d’amore

sono vuoti se non portano agli altri

un poco di noi stessi.

Fa’ che i miei doni

non abbiano il sapore della circostanza,

dell’obbligo, della buona creanza

ma siano un modo

d’andare incontro ai fratelli

nella gioia di un cuore aperto.

Fonte:  Novena di Natale per ragazzi
Nove racconti per nove giorni.

(per gentile concessione di don Bruno Ferrero e dell’editrice ELLEDICI – http://www.elledici.org)

8 dicembre: Maria, donna dell’attesa

Maria, donna dell’attesa

La vera tristezza non è quando, a sera, non sei atteso da nessuno al tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita.

E la solitudine più nera la soffri non quando trovi il focolare spento, ma quando non lo vuoi accendere più: neppure per un eventuale ospite di passaggio.

Quando pensi, insomma, che per te la musica è finita. E ormai i giochi siano fatti. E nessun’anima viva verrà a bussare alla tua porta. E non ci saranno più né soprassalti di gioia per una buona notizia, né trasalimenti di stupore per una improvvisata. E neppure fremiti di dolore per una tragedia umana: tanto non ti resta più nessuno per il quale tu debba temere.

La vita allora scorre piatta verso un epilogo che non arriva mai, come un nastro magnetico che ha finito troppo presto una canzone, e si srotola interminabile, senza dire più nulla, verso il suo ultimo stacco.

Attendere: ovvero sperimentare il gusto di vivere. Hanno detto addirittura che la santità di una persona si commisura dallo spessore delle sue attese. Forse è vero.

Se è così, bisogna concludere che Maria è la più santa delle creature proprio perché tutta la sua vita appare cadenzata dai ritmi gaudiosi di chi aspetta qualcuno.

Già il contrassegno iniziale con cui il pennello di Luca la identifica è carico di attese: «Promessa sposa di un uomo della casa di Davide».

Fidanzata, cioè.

A nessuno sfugge a quale messe di speranze e di batticuori faccia allusione quella parola che ogni donna sperimenta come preludio di misteriose tenerezze. Prima ancora che nel Vangelo venga pronunciato il suo nome, di Maria si dice che era fidanzata. Vergine in attesa. In attesa di Giuseppe. In ascolto del frusciare dei suoi sandali, sul far della sera, quando, profumato di legni e di vernici, egli sarebbe venuto a parlarle dei suoi sogni.

Ma anche nell’ultimo fotogramma con cui Maria si congeda dalle Scritture essa viene colta dall’ obiettivo nell’ atteggiamento dell’attesa.

Lì, nel cenacolo, al piano superiore, in compagnia dei discepoli, in attesa dello Spirito. In ascolto del frusciare della sua ala, sul fare del giorno, quando, profumato di unzioni e di santità, egli sarebbe disceso sulla Chiesa per additarle la sua missione di salvezza.

Vergine in attesa, all’inizio.

Madre in attesa, alla fine.

E nell’arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l’altra così divina, cento altre attese struggenti.

L’attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L’attesa di adempimenti legali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L’attesa del giorno, l’unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L’attesa dell’ora: l’unica per la quale non avrebbe saputo frenare l’impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L’attesa dell’ultimo rantolo dell’unigenito inchiodato sul legno. L’attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia.

Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all’infinito.

Santa Maria, Vergine dell’attesa, donaci del tuo olio perché le nostre lampade si spengono. Vedi: le riserve si sono consumate. Non ci mandare ad altri venditori. Riaccendi nelle nostre anime gli antichi fervori che ci bruciavano dentro quando bastava un nonnulla per farci trasalire di gioia: l’arrivo di un amico lontano, il rosso di sera dopo un temporale, il crepitare del ceppo che d’inverno sorvegliava i rientri in casa, le campane a stormo nei giorni di festa, il sopraggiungere delle rondini in primavera, l’acre odore che si sprigionava dalla stretta dei frantoi, le cantilene autunnali che giungevano dai palmenti, l’incurvarsi tenero e misterioso del grembo materno, il profumo di spigo che irrompeva quando si preparava una culla.

Se oggi non sappiamo attendere più, è perché siamo a corto di speranza. Se ne sono disseccate le sorgenti. Soffriamo una profonda crisi di desiderio. E, ormai paghi dei mille surrogati che ci assediano, rischiamo di non aspettarci più nulla neppure da quelle promesse ultraterrene che sono state firmate col sangue dal Dio dell’alleanza.

Santa Maria, Vergine dell’attesa, donaci un’anima vigiliare. Giunti alle soglie del terzo millennio, ci sentiamo purtroppo più figli del crepuscolo che profeti dell’avvento. Sentinella del mattino, ridestaci nel cuore la passione di giovani annunci da portare al mondo, che si sente già vecchio. Portaci, finalmente, arpa e cetra, perché con te mattiniera possiamo svegliare l’aurora.

Di fronte ai cambi che scuotono la storia, donaci di sentire sulla pelle i brividi dei cominciamenti. Facci capire che non basta accogliere: bisogna attendere. Accogliere talvolta è segno di rassegnazione. Attendere è sempre segno di speranza. Rendici, perciò, ministri dell’ attesa. E il Signore che viene, Vergine dell’ avvento, ci sorprenda, anche per la tua materna complicità, con la lampada in mano.

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/tonino_bello_maria4.htm

7 dicembre: È sempre Natale

Quando crediamo e difendiamo la vita,

 quando ti ringraziamo per quanto già abbiamo,

 quando sappiamo metterci in ascolto della Tua parola,

 quando siamo di aiuto a chi ne ha bisogno,

 quando dividiamo le nostre gioie con gli altri,

 quando la speranza guida le nostre giornate e azioni,

 quando sappiamo essere docili alla Tua volontà,

 quando Ti riconosciamo come Padre e Ti preghiamo e adoriamo in silenzio,

Tu, o Signore, nasci dentro di noi, 

e per noi ogni giorno è NATALE!